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Missione e Dialogo

Visione cristiana

 

I. MISSIONE*

 

L’amore sorgente

9. Dio è amore (1 Gv 4, 8. 16). Il suo amore salvifico è stato rivelato e comunicato agli uomini in Cristo ed è presente e attivo nel mondo attraverso lo Spirito Santo. La Chiesa deve essere il segno vivo di questo amore in modo da renderlo norma di vita per tutti. Voluta da Cristo, la sua è una missione di amore, perchè in esso trova la sorgente, il fine e le modalità di esercizio (cfr. AG 2 - 5, 12; EN 26). Ogni aspetto e ogni attività della Chiesa devono quindi essere impregnati di carità proprio per fedeltà a Cristo, che ha ordinato la missione e che continua ad animarla e a renderla possibile nella storia.

 

per la Chiesa

10. La Chiesa, come il Concilio ha sottolineato, è popolo messianico, assemblea visibile e eomunità spirituale, popolo pellegrinante in cammino con tutta l'umanità con la quale condivide l' esperienza. Deve essere lievito e anima della società per rinnovarla in Cristo e renderla famiglia di Dio (Cfr. LG 9; GS 9, 40). «Questo popolo messianico ha per legge il nuovo precetto di amare come Cristo stesso ci ha amati ed ha per fine il Regno di Dio che è già stato iniziato da Lui» (LG 9). « La Chiesa peregrinante è quindi per sua natura missionaria» (AG 2, cfr. 6, 35, 36). La missionarietà è per ogni cristiano espressione normale della sua fede vissuta.

 

della Missione

11. «Pertanto la missione della Chiesa si esplica attraverso un'azione tale, per cui essa obbedendo all'ordine di Cristo e mossa dal1a grazia e dalla carità dello Spirito Santo, si' fa pienamente ed attualmente presente a tutti gli uomini e popoli... » (AG 5). Questo compito è unico, ma si esercita in modi diversi secondo le condizioni in cui la missione si esplica. «Tali condizioni dipendono sia dalla Chiesa, sia dai popoli, dai gruppi o dagli uomini a cui la missione è indirizzata... A qualsiasi condizione o stato debbono corrispondere atti appropriati e strumenti adeguati… Fine proprio di questa attività missionaria è l' evangelizzazione e la fondazione della Chiesa in quei popoli e gruppi, in cui non ha ancora messo radici» (AG 6). Altri passi dello stesso concilio sottolineano che la missione della Chiesa è anche lavorare per l' estensione del Regno e dei suoi valori tra tutti gli uomini (Cfr. LG 5, 9; 35; GS 39, 40 - 45, 91, 92; UR 2; DH 14; AA 5).

 

continuamente approfondita

12. I modi e gli aspetti differenti della missione sono stati globalmente delineati dal Concilio Vaticano II. Atti e documenti del magistero ecclesiastico successivo, come il Sinodo dei Vescovi sulla giustizia sociale (1971), quello dedicato all'evangelizzazione (1974) e alla catechesi (1977), numerosi interventi di Paolo VI e di Giovanni Paolo II e delle Conferenze episcopali dell' Asia, dell' Africa e dell' America Latina, hanno sviluppato altri aspetti dell'insegnamento conciliare, additando per esempio «come elemento essenziale della missione della Chiesa indissolubilmente congiunto con essa » (RH 15), l'impegno in favore dell'uomo, della giustizia sociale, della libertà e dei diritti umani e la riforma delle strutture sociali ingiuste.

 

realizzantesi in molteplici attività

13. La missione si presenta nella coscienza della Chiesa come una realtà unitaria ma complessa e articolata. Se ne possono indicare gli elementi principali. La missione è costituita già dalla semplice presenza e dalla testimonianza viva della vita cristiana (Cfr. EN 21), anche se si deve riconoscere che «portiamo questo tesoro in vasi di creta» (2 Cor. 4, 7), e quindi il divario tra come il cristiano esistenzialmente appare e ciò che afferma di essere è sempre incolmabile. Vi è poi 1'impegno concreto per il servizio agli uomini e tutta l'attività di promozione sociale e di lotta contro la povertà e le strutture che la provocano. Vi è la vita liturgica, la preghiera e la contemplazione, testimonianze eloquenti di un rapporto vivo e liberante con il Dio vivo e vero che ci chiama al suo Regno e alla sua gloria (cfr. Atti 2, 42).Vi è il dialogo nel quale i cristiani incontrano i seguaci di altre tradizioni religiose per camminare insieme verso la verità e collaborare in opere di interesse comune. Vi è l'annuncio e la catechesi, quando si proclama la buona notizia del Vangelo e se ne approfondiscono le conseguenze per la vita e la cultura. Tutto questo comprende l'arco della missione.

 

compito di tutti

14. Ogni chiesa particolare è responsabile di tutta la missione. Anche ogni cristiano, in virtù della fede e del battesimo, è chiamato a esercitarla in qualche misura tutta. Le esigenze delle situazioni, la particolare posizione nel popolo di Dio e il carisma personale abilitano il cristiano ad esercitare prevalentemente l'uno o l'altro aspetto di essa.

 

sull’esempio di Cristo

15. La vita di Gesù contiene tutti gli elementi della missione. Secondo i Vangeli, egli si presenta con il silenzio, con l'azione, con la preghiera, con il dialogo e con l'annuncio. Il suo messaggio è inscindibile dall'azione; annuncia Dio e il suo Regno non solo con le parole, ma anche con i fatti, e con le opere che compie. Accetta la contraddizione, l'insuccesso e la morte; la sua vittoria passa attraverso il dono della vita. Tutto in Lui è mezzo e via di rivelazione e di salvezza (Cfr. EN 6-12); tutto è espressione del suo amore (Cfr. Gv 3, 16; 13, 1; 1 Gv. 4, 7-19). Cosi pure devono fare i cristiani: « Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv. 13, 35).

 

come la chiesa primitiva

16. Anche il Nuovo Testamento dà una immagine composita e differenziata della missione. C' è una pluralità di servizi e di funzioni derivante da una varietà di carismi (cfr. 1 Cor. 12, 28-30; Ef. 4, 11-12; Rom. 12, 6-8). Lo stesso S.Paolo nota la particolarità della sua vocazione missionaria quando dichiara di.« non essere stato mandato da Cristo a battezzare, ma ad annunciare il Vangelo» (1 Cor. 1, 17). Per questo accanto agli « apostoli », ai « profeti », agli « evangelisti », troviamo quelli chiamati alle opere comunitarie e all'aiuto di chi soffre; vi sono i compiti delle famiglie, dei mariti, delle mogli e dei figli; vi sono i doveri dei padroni e dei servi. Ciascuno ha un compito di testimonianza particolare nel1a società. La prima lettera di Pietro dà ai cristiani viventi in situazione di diaspora indicazioni che non cessano di sorprendere per la loro attualità. Giovanni Paolo II. indicava un passo di essa come «la regola d'oro nei rapporti dei cristiani con i loro concittadini di fede diversa: Adorate il Signore Cristo nei vostri cuori, pronti sempre a rendere ragione della speranza che c'è in voi, ma con amabilità e rispetto e coscienza buona» (1 Pt. 3, 15-16) (Ankara 29. 11. 1979).

 

e gli insigni missionari

17. Tra i molteplici esempi, nel1a storia del1a missione cristiana, sono significative le norme date da S. Francesco, nella Regola non bollata (1221), ai frati che «per divina ispirazione vorranno andare tra i saraceni...: Essi possono ordinare i rapporti spirituali in mezzo a loro in due modi. Un modo che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti a ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani. L'altro modo è che, quando vedranno che piace al Signore, annunzino Ia parola di Dio»

Il nostro secolo ha visto sorgere e affermarsi soprattutto tra il mondo islamico l'esperienza di Charles de Foucauld che esercitò la missione in un atteggiamento umile e silenzioso di unione eon Dio, di comunione con i poveri e di fraternità universale.

 

nel rispetto per la libertà

18. La missione si rivolge sempre all'uomo nel rispetto pieno della sua libertà. Per questo il Concilio Vaticano II mentre ha affermato Ia necessità e l'urgenza di annunciare Cristo «la luce della vita con ogni fiducia e fortezza apostolica, fino alla effusione del sangue» se necessario (DH 14), ha ribadito l' esigenza di promuovere e rispettare in ogni interlocutore una vera libertà, priva di qualsiasi coercizione, soprattutto nell'ambito religioso. «La verità infatti si deve ricercare nella maniera propria alla dignità della persona umana e alla sua natura sociale, con libera ricerca con l'aiuto di un insegnamento o di una istituzione, della comunicazione e del dialogo, in cui gli uni espongono agli altri la verità che hanno trovato o ritengono di avere trovato per aiutarsi vicendevolmente nella ricerca della verità; alla verità conosciuta poi si deve aderire fermamente con assenso personale » DH 3). Quindi «nel diffondere la fede religiosa e nell'introdurre usanze, ci si deve sempre astenere da ogni forma di azione che possa sembrare costrizione o persuasione disonesta o non del tutto retta, specialmente quando si tratta di persone semplici o povere. Tale modo di agire deve essere considerato un abuso del proprio diritto o lesione del diritto degli altri » (DH 4).

 

e per la persona

19. Il rispetto per ogni persona deve caratterizzare l'attività missionaria nel mondo odierno (Cfr. ES 77; AAS 1964, pp. 642-643; EN 79-80; RH 12). « L'uomo è la prima strada che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione » (RH 14). Questi valori, che la Chiesa continua ad imparare da Cristo suo maestro, devono guidare il cristiano ad amare e rispettare tutto ciò che c'è di buono nella cultura e nell'impegno religioso dell'altro. « Si tratta di rispetto per tutto ciò che in ogni uomo ha operato lo Spirito che soffia dove vuole » (RH 12; cfr. EN 79). La missione cristiana non può mai discostarsi dall' amore e dal rispetto per gli altri e questo per noi cristiani evidenzia il posto del dialogo nella missione.

 

II DIALOGO

A) FONDMENTI

20. Il dialogo non scaturisce da opportunismi tattici dell' ora, ma da ragioni che l' esperienza, la riflessione, nonché le stesse difficoltà, hanno approfondito.

 

Fondato sulle esigenze personali e sociali

21. La Chiesa si apre al dialogo per fedeltà all'uomo. In ogni uomo e in ogni gruppo umano c'è l'aspirazione e l'esigenza di. essere considerati e di .poter agire da soggetti responsabili, sia quando si avverte il bisogno di ricevere, sia soprattutto quando si è consapevoli di possedere qualche cosa da comunicare. Come sottolineano le scienze umane, nel dialogo interpersonale l'uomo fa esperienza dei propri limiti, ma anche della possibilità di superarli; scopre che non possiede la verità in modo perfetto e totale, ma che può camminare con. fiducia verso di essa insieme agli altri. La mutua verifica, la correzione reciproca, lo scambio fraterno dei rispettivi doni favoriscono una maturità sempre più grande, che genera la comunione interpersonale. Le stesse esperienze e visioni religiose possono essere purificate e arricchite in questo processo di confronto.

Questa dinamica dei rapporti umani spinge noi cristiani ad ascoltare e comprendere ciò che gli altri credenti possono trasmetterci onde trarre profitto dai doni che Dio elargisce.

I cambiamenti socio culturali con le tensioni e difficoltà inerenti, l'interdipendenza accresciuta in tutti i settori del convivere e della promozione umana, e in particolare le esigenze per la pace, rendono oggi più urgente uno stile dialogico di rapporti.

 

radicato nella fede in Dio Padre

22. La Chiesa, tuttavia, si sente impegnata al dialogo soprattutto a motivo della sua fede. Nel mistero trinitario la rivelazione ci fa intravvedere una vita di comunione e di interscambio.

In Dio Padre noi contempliamo un amore preveniente senza confini di spazio e di tempo. L'universo e la storia sono ricolmi dei suoi doni. Ogni realtà e ogni evento sono avvolti dal suo amore. Nonostante il manifestarsi talora violento del male, nella vicenda di ogni uomo e di ogni popolo è presente la forza della grazia che eleva e redime.

La Chiesa ha il compito di scoprire, portare alla luce, far maturare tutta la ricchezza che il Padre ha nascosto nella creazione e nella storia, non solo per celebrare la gloria di Dio nella sua liturgia ma anche per promuovere la circolazione tra tutti gli uomini dei doni del Padre.

 

nel Figlio unitosi ad ogni uomo

23. In Dio Figlio ci è data la Parola e la Sapienza in cui tutto è precontenuto e sussiste già prima dei tempi. Cristo è il Verbo che illumina ogni uomo, perchè in Lui si manifesta ad un tempo il Mistero di Dio e il Mistero dell'uomo (Cfr. RH 8, 10, 11, 13). Egli è il Redentore presente con la grazia in ogni incontro umano, per liberarci dal nostro egoismo e farci amare gli uni gli altri come Egli ci ha amato.

« Ogni uomo - scrive Giovanni Paolo II - senza eccezione alcuna è stato redento da Cristo, e con l'uomo, con ciascun uomo senza eccezione, Cristo è in qualche modo unito, anche quando quell'uomo non è di ciò consapevole. Cristo per tutti morto e risorto, dà sempre all'uomo - ad ogni uomo e a tutti gli uomini - luce e forza per rispondere alla suprema sua vocazione» (RH 14).

 

nello Spirito operante

24. In Dio Spirito Santo, la fede ci fa scorgere quella forza di vita, di movimento e di rigenerazione perenne (cfr. LG 4) che agisce nella profondità delle coscienze, e accompagna il cammino segreto dei cuori verso la Verità (cfr. GS 22). Spirito che opera anche «oltre i confini visibili del Corpo Mistico... » (RH 6; cfr. LG 16; GS 22; AG 15); Spirito che anticipa e accompagna il cammino della Chiesa, la quale, pertanto, si sente impegnata a discernere i segni della sua presenza, a seguirlo dovunque Egli la conduca, e a servirlo come collaboratrice umile e discreta.

 

per la realizzazione del Regno

25. Il Regno di Dia è la mèta finale di tutti gli uomini. La Chiesa, che ne è « il germe e l'inizio » (LG 5, 9), è sollecitata ad intraprendere per prima questo cammino verso il Regno e a far avanzare tutto il resto dell'umanità verso di Esso.

Questo impegno include la lotta e la vittoria sul male e sul peccato, incominciando sempre da se stessi ed abbracciando il mistero della croce. La Chiesa cosí predispone al Regno fino al conseguimento della comunione perfetta di tutti i fratelli in Dio.

Cristo costituisce per la Chiesa e per il mondo la garanzia che gli ultimi tempi sono già incominciati, che l'età finale della storia è già fissata (Cfr. LG 48) e che perciò la Chiesa è abilitata e impegnata ad operare perché si attui il progressivo compimento di tutte le cose in Cristo

coltivando i germi

26. Questa visione ha indotto i Padri del Concilio Vaticano II ad affermare che nelle tradizioni religiose non cristiane esistono « cose vere e buone » (OT 16), « cose preziose, religiose e umane » (GS 92), « germi di contemplazione » (AG 18), « elementi di verità e di garanzia » (AG 9), « semi del Verbo » (AG 11. 15) « raggi della verità che illumina tutti gli uomini » (NA 2). Secondo esplicite indicazioni conciliari questi valori si trovano condensati nelle grandi tradizioni religiose dell'umanità. Esse meritano perciò l'attenzione e la stima dei cristiani, e il loro patrimonio spirituale è un efficace invito al dialogo (Cfr. NA 2. 3.; AG 11), non solo su elementi convergenti ma anche su quelli che divergono.

in un dialogo sincero

27. Il Vaticano II ha potuto perciò trarre conseguenze di impegno concreto esprimendosi nei termini seguenti:

« Per dare fruttuosamente la testimonianza di Cristo essi (i cristiani) devono stringere rapporti di stima e di amore con gli uomini del loro tempo, riconoscersi membra vive di quel gruppo umano in mezzo a cui vivono, e prendere parte, attraverso il complesso delle relazioni e degli affari dell'esistenza umana, alla vita culturale e sociale. Cosí devono conoscere bene le tradizioni culturali e religiose degli altri, lieti di scoprire e pronti a rispettare quei germi del Verbo che in loro si nascondono... Come lo stesso Cristo... cosí i suoi discepoli devono conoscere gli uomini tra i quali vivono, ed entrare in rapporto con essi per conoscere con un dialogo sincero e paziente le richezze che Dio nella sua munificenza ha largito ai popoli. Al tempo stesso si sforzino di illuminare tali ricchezze con la luce del Vangelo, di liberarle e riferirle al dominio di Dio Salvatore » (AG 11; cfr. 41; AA 14. 29 etc.).

 

B) FORME DI DIALOGO:

28. L' esperienza di questi anni ha evidenziato la molteplicità dei modi con cui il dialogo si esplica. Le principali forme tipiche qui elencate sono vissute in modo distinto oppure insieme con le altre.

 

Il dialogo della vita

29. I1 dialogo è innanzitutto uno stile di azione, un'attitudine e uno spirito che guida la condotta. Implica attenzione, rispetto e accoglienza verso l'altro, al quale si riconosce spazio per la sua identità personale, per le sue espressioni, i suoi valori. Tale dialogo e la norma è lo stile necessari di tutta la missione cristiana e di ogni parte di essa, si tratti della semplice presenza e testimonianza, o del servizio, o dello stesso annuncio diretto (cfr. CIC 787 § 1). Una missione che non fosse permeata da spirito dialogico andrebbe contro le esigenze della vera umanità e contro le indicazioni del Vangelo.

 

per tutti

30. Ogni seguace di Cristo, in forza della sua vocazione umana e cristiana, è chiamato a vivere il dialogo nella sua vita quotidiana, sia che si trovi in situazione di maggioranza, sia in condizione di minoranza. Egli deve infondere il sapore evangelico in ogni ambiente in cui vive ed opera: quello familiare, sociale, educativo, artistico, economico, politico ecc. Il dialogo si inserisce cosí nel grande dinamismo della missione ecclesiale.

 

Il dialogo delle opere

31. Un ulteriore livello è il dialogo delle opere e della collaborazione per obiettivi di carattere umanitario, sociale, economico e politico che tendano alla liberazione e alla promozione dell'uomo. Ciò avviene spesso nelle organizzazioni locali, nazionali e internazionali, dove cristiani e seguaci di altre religioni affrontano insieme i problemi del mondo.

per la collaborazione

32. Vastissimo può essere il campo della collaborazione. Riferendosi in particolare ai Musulmani il Concilio Vaticano II esorta a « dimenticare il passato » ed a « difendere e promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà » (NA 3; cfr. AG 11. 12. 15. 21...). Nello stesso senso si sono pronunciati Paolo VI specie nell'Ecclesiam Suam (AAS 56, 1964, p 655), e Giovanni Paolo II nei numerosi incontri con capi e rappresentanti delle diverse religioni. I. grandi problemi che travagliano l'umanità chiamano i cristiani a collaborare con gli altri credenti, proprio in forza delle fedi rispettive.

 

Il dialogo di esperti

33. Di particolare interesse è il dialogo a livello di esperti, sia per confrontare, approfondire e arricchire i rispettivi patrimoni religiosi, sia per applicarne le risorse ai problemi che si pongono all'umanità nel corso della sua storia

Tale dialogo avviene normalmente là dove l'interlocutore possiede già una sua visione del mondo e aderisce a una religione che l'ispira ad agire. Si realizza più facilmente nelle società pluralistiche, dove coesistono e talvolta si fronteggiano tradizioni e ideologie diverse.

 

per la compresione

34. In questo confronto gli interlocutori conoscono e apprezzano reciprocamente i valori spirituali e le categorie culturali, promovendo la comunione e la fratellanza tra gli uomini (cfr. NA 1). Il cristiano poi collabora cosí alla trasformazione evangelica delle culture (cfr. EN 18-20, 63).

 

Il dialogo della esperienza religiosa

35. A un livello più profondo, uomini radicati nelle proprie tradizioni religiose possono condividere le loro esperienze di preghiera, di contemplazione, di fede e di impegno, espressioni e vie della ricerca dell'Assoluto. Questo tipo di dialogo diviene arricchimento vicendevole e cooperazione feconda nel promuovere e preservare i valori e gli ideali spirituali più alti dell'uomo. Esso conduce naturalmente a comunicarsi vicendevolmente le ragioni della propria fede e non si arresta di fronte alle differenze talvolta profonde, ma si rimette con umiltà e fiducia a Dio, « che è più grande del nostro cuore» (1 Giov. 3, 20). Il cristiano ha cosi l'occasione di offrire all'altro la possibilità di sperimentare in maniera esistenziale i valori del Vangelo.

 

III DIALOGO E MISSIONE

 

36. I rapporti tra dialogo e missione, sono molteplici. Ci soffermiamo su alcuni aspetti che nel momento attuale hanno maggiore rilevanza, per le sfide e i problemi posti o per gli atteggiamenti richiesti.

 

A) MISSIONE E CONVERSIONE

L'appello alla conversione

37. L'a,nnuncio missionario, per il Concilio Vaticano II, ha per fine la conversione: «Solo cosí i non cristiani, a cui aprirà il cuore lo Spirito Santo, crederanno, liberamente si convertiranno al Signore, e sinceramente aderiranno a Lui... » (AG 13; CIC 787 § 2). Nel contesto del dialogo tra credenti di fede diversa, non si può evitare di riflettere sul cammino spirituale della conversione.

Nel linguaggio biblico e cristiano, la conversione è il ritorno del cuore umile e contrito a Dio, con il desiderio di sottomettergli più generosamente la propria vita (Cfr. AG 13). Tutti sono chiamati costantemente a questa conversione. In questo processo può nascere la decisione di lasciare una situazione spirituale o religiosa anteriore per dirigersi verso un'altra. Cosí per esempio da un amore particolare il cuore può aprirsi a una carità universale.

Ogni autentico appello di Dio comporta sempre un superamento di sé. Non c'è vita nuova senza morte, come manifesta la dinamica del mistero pasquale (cfr. GS 22). Ed «ogni conversione è opera della grazia, nella quale l'uomo deve pienamente ritrovare se stesso » (RH 12).

 

nel rispetto delle coscienze

38. In questo processo di conversione prevale la legge suprema della coscienza perché « nessuno deve essere obbligato ad agire contro la sua coscienza. E non si deve neppure impedirgli di agire in conformità ad essa, soprattutto in campo religioso » (DH 3).

 

e dello Spirito vivificante

39. Nell'ottica cristiana, l'agente principale della conversione non è l'uomo, ma lo Spirito Santo. « È Lui che spinge ad annunziare il Vangelo e che nell'intimo delle coscienze fa accogliere e comprendere la parola della salvezza » (EN 75). È lui che guida il movimento dei cuori e fa nascere l'atto di fede in Gesù il Signore (cfr. 1 Cor. 2. 4). Il Cristiano è semplice strumento e collaboratore di Dio (Cfr. 1 Cor. 3. 9).

 

Il desiderio mutuo di crescita

40. Anche nel dialogo, il cristiano normalmente nutre nel suo cuore il desiderio di condividere la sua esperienza di Cristo col fratello di altra religione (cfr. Atti 26, 29; ES 46). È altrettanto naturale che l'altro credente desideri qualcosa di simile.

 

B) IL DIALOGO PER L’EDIFICAZIONE DEL REGNO

Collaborazione al piano di Dio

41. Dio continua a riconciliare a Sé gli uomini attraverso lo Spirito. La Chiesa confida nella promessa fattale da Cristo che lo Spirito la guiderà, nella storia, verso la pienezza della verità (cfr. Giov. 16, 13). Per questo va incontro agli uomini, ai popoli e alle loro culture, conscia che ogni comunità umana ha germi di bene e di verità e che Dio ha un disegno di amore per ogni nazione (cfr. Atti 17, 26-27). La Chiesa quindi vuole collaborare con tutti per la realizzazione di questo disegno, valorizzando cosí tutte le ricchezze della sapienza infinita e multiforme di Dio, e contribuendo alla evangelizzazione delle culture (cfr. EN 18-20).

 

Promozione della pace universale

 

42. «Rivolgiamo anche il nostro pensiero a tutti coloro che credono in Dio e che conservano nelle loro tradizioni preziosi elementi religiosi ed umani, augurandoci che un .dialogo fiducioso possa condurre tutti.noi ad accettare con fedeltà gli impulsi dello Spirito e a portarli a compimento con alacrità.

Per quanto ci riguarda, il desiderio di' stabilire un dialogo che sia ispirato dal solo amore della verità e condotto con la opportuna prudenza, non esclude nessuno: né coloro che hanno il culto di alti valori umani, benché non ne riconoscano ancora I'Autore, né coloro che si oppongono alla Chiesa e la perseguitano in diverse maniere.

 

Essendo Dio Padre principio e fine di tutti, siamo tutti chiamati ad essere fratelli. E perciò, chiamati a questa stessa vocazione umana e divina, senza violenza e senza inganno, possiamo e dobbiamo lavorare insieme alla costruzione del mondo nella vera pace » (QS 92; Cfr. Messaggi per la Giornata Mondiale della Pace di Paolo VI e Giovanni Paolo II).

nella speranza

43. I1 dialogo diventa cosí sorgente di speranza e fattore di comunione nella reciproca trasformazione. È lo Spirito Santo che guida la realizzazione del piano di Dio nella storia degli individui e di tutta l'umanità, fino a quando i figli di Dio dispersi dal peccato saranno riuniti nell'unità. (Cfr. Giov. 11, 52).

 

conforme alla pazienza di Dio

44. Dio solo conosce i tempi, Lui a cui niente è impossibile, Lui il cui misterioso e silenzioso Spirito apre alle persone e ai popoli le vie del dialogo per superare le differenze razziali, sociali e religiose e arricchirsi reciprocamente. Ecco dunque il tempo della pazienza di Dio nel quale opera la Chiesa ed ogni comunità cristiana perché nessuno può obbligare Dio ad agire più in fretta di quanto ha scelto di fare.

Ma davanti alla nuova umanità del terzo millenio, possa la Chiesa irradiare un cristianesimo aperto per attendere nella pazienza che spunti il seme gettato nelle lacrime e nella fiducia (Cfr. Giac. 5, 7-8; Mc 4, 26-30).

 

* Leggeremente abbreviato:

“L’ATTEGGIAMENTO DELLA CHIESA DI FRONTE AI SEGUACI DI ALTRE RELIGIONI: Riflessioni ed Orientamenti su Dialogo e Missione Pentecoste 1984. Pp. 9-21.

 

Publicato dal (SECRETARIATUS PRO NON CHSTRISTINIS) PONTIFICIO CONSGLIO PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO. (Città del Vaticano)

 

 

Una visione musulmana

 

Islam e dialogo. Riflessioni su un tema d’attualità*

 

1. Un tema d’attualità

Il nostro e il secolo della scissione dell’atomo e anche quello della

frantumazione di tutti i monolitismi. Pare che il pluralismo delle culture

sia davvero un fatto acquisito, un movimento irreversibile. Ma esso

ha come correlativo indispensabile l’interdisciplinarietà, il dialogo incessante

tra i diversi sistemi. In quest’ordine di idee, il Concilio Vaticano

II iniziatosi nel settembre del 1962 ha aperto incoraggianti prospettive

di avvicinamento e di scambio, non solo per i cristiani, ma anche

per tutte le famiglie umane quali che siano le loro fonti spirituali o ideologiche.

Non diversamente da altri sistemi di pensiero, l’islam non può porsi

ai margini del movimento senza incorrere in una condanna, che rischia

questa volta d’essere definitiva e senza appello. La posta in gioco e infatti

più importante e più allettante di quella che ebbe per scena i secoli

oscuri della decadenza della civiltà musulmana, decadenza le cui conseguenze,

malgrado la faticosa nahda (rinascita) non sono ancora state

del tutto cancellate.

 

2. Rivelazione e dialogo

Il dialogo per l’islam e perciò, anzitutto e a priori, una ripresa vitale

e necessaria di contatto con il mondo. Ciò e ancora più urgente e più

salutare per l’islam che per le altre religioni, come il cristianesimo, il

quale non ha mai rotto davvero questo contatto, e per questo e oggi in

una posizione relativamente privilegiata. Ciò equivale, in un certo senso,

a riannodare rapporti con la tradizione; tutto, infatti, nella rivelazione

invita a questi buoni rapporti, non v’e nulla che li impedisca. Per

convincersene, si meditino i seguenti versetti del Corano:

Chiama gli uomini alla Via del Signore, con saggi ammonimenti e buoni

(wa al-maw'izati al-hasana), e discuti con loro nel modo migliore, che il tuo Signore meglio di chiunque conosce chi dalla Sua via s’allontana, meglio di

chiunque conosce i diritti (wa huwa a'lamu bi-l-muhtadin) (Corano XVI, 125).

E non disputate con la Gente del Libro altro che nel modo migliore, eccetto

quelli di loro che sono iniqui, e dite: «Noi crediamo in quel che e stato

rivelato a noi e in quel che e stato rivelato a voi e il nostro e il vostro Dio

non sono che un Dio solo, e a Lui noi tutti ci diamo! (muslimin)» (Corano

XXIX, 46).

Cosi la rivelazione invita il Profeta e i musulmani a discutere, a intraprendere

il dialogo con tutti gli uomini in generale, e con i fedeli delle religioni che si ispirano alla Bibbia, in particolare. Osserviamo anche che il dovere dell’apostolato, che e implicito nella rivelazione stessa e che non si può eludere (ci ritorneremo), va congiunto con il rispetto dell’Altro e delle altre confessioni, perche in definitiva sta a Dio, e in ultima istanza a Dio soltanto, riconoscere i «suoi». Il Signore conosce infatti meglio di chiunque colui che ha deviato dal suo cammino; e anche meglio di chiunque colui che e sulla retta via.

 

3. L’ostacolo del passato

Dirà allora qualcuno: perche la storia e stata quella che e stata? Perche

questo pesante ostacolo del passato? Perche quel tessuto di scontri,

di falsificazioni, d’invettive e insulti? Perche insomma la maniera forte

e prevalsa sulla maniera «cortese», civile?

Il fatto e che niente e semplice nella vita umana, ed e necessario che

spieghiamo a noi stessi la dolorosa eredita del passato per superarla meglio.

Infatti l’islam nell’opinione corrente e considerato non la religione

del dialogo ma della violenza. E perciò necessario un breve chiarimento.

[…]

E cosi che più di un versetto del Corano – e un dato di fatto – incita alla lotta e promette la palma del martirio e il paradiso a colui che soccombe seguendo la strada di Dio. Ma questa lotta viene sempre presentata come l’ipotesi meno desiderabile, un rimedio estremo, soggetto a ogni sorta di restrizioni materiali e morali per essere veramente valido.

E importante soprattutto far risaltare come i versetti che esortano a quella lotta non hanno un valore assoluto, che e essenzialmente limitato alle circostanze, legato a congiunture specifiche, e oggi, vogliamo sperarlo, definitivamente superato. Essi non esprimono lo spirito permanente e profondo del messaggio che, come abbiamo detto, e lo spirito del rispetto, lo spirito cortese, la mano tesa al prossimo. Ed e questo spirito permanente e profondo che oggi noi dobbiamo riscoprire per sgombrare la strada del dialogo da tutti i malintesi che l’hanno intasata nel passato e rischiano di bloccarla ancora insieme ad altre difficoltà del presente.

 

4. Le difficoltà del presente

[…]

5. Il diseguale sviluppo teologico

[…]

6. L’islam deve superare le sue difficoltà

Per eliminare ogni equivoco diciamo dunque subito che se tra i cristiani

e i musulmani c’e disparità di dotazione ai fini del dialogo, come abbiamo fin qui fortemente sottolineato, l’islam in se stesso non deve nutrire alcun complesso di fronte al cristianesimo.

Rimane il fatto che i fedeli delle due confessioni sono diversamente dotati quanto a sviluppo su tutti i piani. Volgendoci ai musulmani, che rischiano, in queste condizioni, di soccombere, come per istinto di conservazione,

alla tentazione di isolarsi, di irrigidirsi e di ripiegarsi sulle loro posizioni e di avvolgersi in un superbo rifiuto, noi diremo loro: e proprio la soluzione giusta? Indubbiamente possono preservarsi tali quali sono e cosi sopravvivere. Ma per quanto tempo ancora? Le frontiere hanno ai giorni nostri una grande porosità: non impediscono i contatti umani ne il confronto degli esempi, e neppure la diffusione dei libri, del cinema e, meno che mai, quella radiotelevisiva. L’isolamento diviene via via sempre più chimerico in un mondo in ebollizione e in balia della contestazione. Tutto oggi si svolge come se l’unanimità attraversasse una nuova crisi di adolescenza.

Non c’e modo di sfuggire alle convulsioni. La democratizzazione dell’insegnamento, l’accesso alla scuola e, sempre di più, all’università, l’elevarsi del livello di vita e del pensare e tutte le esigenze che ne derivano,

tutti questi cambiamenti, talora bruschi, possono rivelarsi fatali a musulmani ≪intatti≫, non ≪vaccinati≫. Le religioni costituiscono sempre meno un condizionamento sociale e sempre più si esplicano in impegno personale e cosciente. Se perciò l’antico islam non riesce (attraverso il dialogo con tutti i sistemi, nessuno escluso) a rinnovare la spiritualità dei suoi adepti e a incorporare come in passato tutti i valori compatibili con la sua testimonianza, esso va fatalmente incontro al fallimento della sua missione sulla terra. La de islamizzazione e già percepibile nelle università, in linea generale, tra i giovani, e nelle file degli appartenenti agli strati sociali più evoluti, i quali spesso non conservano per l’islam, nella migliore delle ipotesi, null’altro che una vaga affezione in quanto patrimonio culturale venerabile.

In definitiva, l’avventura del dialogo, con i credenti e i non credenti, qualunque siano le disparita e le difformità attuali di preparazione, e, tirate le somme, meno pericolosa dell’irrigidirsi e della resistenza alle frontiere in un mondo in cui queste frontiere sono quasi scomparse. A meno che in qualche modo i musulmani, per disperazione e ammissione di impotenza, non arrivino a passare ad altri (supposto che cio sia possibile) il pegno, il deposito (amana) che il cielo aveva loro affidato.

[…]

Grazie a Dio, non siamo ancora a questo punto. Malgrado le disparita d’ogni sorta, che non abbiano in alcun modo cercato di evitare, noi pensiamo che il dialogo, salve restando alcune precauzioni, e ugualmente possibile tra partner che assumano appieno le proprie convinzioni. Non bisogna mai accogliere passivamente le convinzioni dell’altro. E da soli che ci si libera.

 

7. Le condizioni del dialogo

Ma naturalmente, se é vero che il dialogo e possibile, non e facile instaurarlo,

bisogna anche precisare le condizioni perche a esso sia assicurato il massimo delle possibilità di riuscita e perche possa essere di pari vantaggio per tutti, quindi utile e durevole. Numerose sono, infatti, le circostanze che l’insidiano. Dobbiamo perciò in qualche modo smascherarle in anticipo per meglio evitarle e vegliare affinché il dialogo appena messo in moto non si esaurisca. A tal fine bisogna evitare due atteggiamenti che rischiano di rivelarsi entrambi fortemente gravati di malintesi, di delusioni e d’amarezza: lo spirito di polemica e quello di compromesso e di compiacenza.

 

8. Evitare la polemica

Nel Medioevo lo spirito polemico ha causato danni incalcolabili non solo materiali, ma anche intellettuali e morali, favorendo le esagerazioni, le falsificazioni, l’incomprensione, diffondendo la menzogna in nome della verità. E cosa rara infatti che la polemica non porti a una regressione e all’abdicazione dello spirito. Ora, malgrado l’evoluzione delle mentalità (che d’altronde e forse relativa) in tutte le religioni resta fortemente radicata la tentazione, d’argomento in argomento, di tornare a ripararsi dietro uno steccato. A coloro che per caso siano tentati in tal senso diciamo che le lotte tra le grandi religioni universali non hanno maggiori possibilità di portare a conclusioni certe di quante ne abbiano avuto fin qui.

[…]

Bisogna perciò stare molto in guardia, reprimere l’idea della polemica.

Il mezzo più sicuro per impedire ch’essa rinnovi i suoi danni e i suoi peccati contro lo spirito e quello della rinuncia ad assegnare al dialogo, come scopo confessato o nascosto, la conversione dell’altro. Se infatti si concepisce il dialogo come una nuova forma di proselitismo, e lo si interpreta come mezzo di battere in breccia le condizioni dell’altro per portarlo al crollo o alla resa, presto o tardi ci si ritroverà nella stessa condizione in cui eravamo nel Medioevo. Sara cambiata solo la strategia.

[…]

 

9. Le frontiere sono cambiate

Un tono del genere non ha neppure il vantaggio di essere efficace

sotto l’aspetto tattico. Non può far altro che infastidire interlocutori

che sono piuttosto inclini a collegare la superiorità tecnica dell’Occidente

alla sua emancipazione dall’influenza della religione e al conse-

guente culto del «materiale». Oggi le uniche conversioni di massa notevoli

avvengono con il passaggio dalla fede all’ateismo o all’agnosticismo,

considerati come le nuove religioni dell’efficienza e del progresso.

Tutti i votati al trascendente, senza distinzione di credo, devono

perciò prender coscienza che il mondo si e evoluto molto dopo il Medioevo.

Le frontiere non seguono più gli stessi tracciati. A contrapporsi

non sono più tanto, oggi, le diverse concezioni che ci si fa di Dio o la

maniera di servirlo. E comparsa oggi una divisione più profonda tra

coloro che intendono costruire il destino dell’uomo senza Dio e coloro

che non possono concepirlo che in Dio e attraverso Dio; tra quelli che

buttano, indifferentemente e in blocco, tutte le religioni, nel paniere

dei vecchi miti e quelli che continuano a credere nella loro insondabile

e infinita verità.

[…]

 

10. Non si converte più con la polemica

D’altronde oggidi le conversioni non si ottengono più (nel caso delle grandi religioni tra loro paragonabili per modalità di sviluppo) attraverso le forze intrinseche del proselitismo e del contraddittorio.

[…]

Esse sono al termine di un itinerario spirituale più esigente e più complesso, il frutto di un intenso dramma psicologico individuale e in tal modo possiedono maggior valore e maggior profondità.

 

11. Il dovere dell’apostolato

Ma per una religione, la rinuncia a proporsi per obiettivo la conversione

di quelli che non hanno ancora raggiunto il suo regno, non equivale

forse a rinunciare alla propria vocazione universale, non e una forma di rinnegamento e di tradimento del dovere d’apostolato?

E proprio questo il momento di sgombrare il campo dagli equivoci e sottolineare, per essere sinceri e pratici, il secondo scoglio da evitare:

quello dell’eccessiva compiacenza e del compromesso. Nessun uomo,

credente o ateo, deve barare con la propria fede e le proprie idee. E la

legge imperiosa del progresso e della marcia silenziosa verso la verità.

Del resto, quando sono pure e vissute profondamente, le convinzioni

non si possono monetizzare. Non si può perciò passare da un estremo

all’altro e cercare a ogni costo, per puro spirito di conciliazione e senza

un’evoluzione interna estremamente impegnativa, soluzioni di compiacenza,

camuffate da un sincretismo di maniera col risultato finale di

una grande confusione. Il dialogo, nel contesto preciso che ci interessa,

non e una politica, vale a dire l’arte del compromesso; si pone a un livello

superiore. In tale forma il dialogo suppone una totale sincerità e,

per essere fruttuoso, esige da ciascuno la condizione d’essere pienamente

se stessi senza aggressività ne equivoci.

Ritroviamo cosi, intera, l’esigenza dell’apostolato, ma in forma purificata

dalle scorie della polemica e del proselitismo aggressivo, che rende

ciechi. In questa prospettiva l’apostolato diventa in essenza apertura

attenta sull’altro, ricerca incessante del vero attraverso l’approfondimento

e l’interiorizzazione continua dei valori di fede, e infine pura testimonianza.

E l’apostolato che in arabo ha nome jihad. Quest’affermazione

può a buon diritto stupire tutti coloro per cui questa guerra risuona

ancora del fragore di tutte le guerre sante del passato e del presente.

A beneficio di costoro precisiamo che il jihad, etimologicamente

e nel suo significato profondo, non vuol dire guerra, per quanto santa

possa essa essere. L’arabo non mancava di parole per designare tutte le

forme di lotta, e il Corano, se avesse voluto significare la guerra, non

avrebbe avuto che l’imbarazzo della scelta per attingere al vocabolario

cosi ricco e colorato della poesia preislamica direttamente rivolta a esaltare

i giorni memorabili degli arabi (ayyam al-'arab), giorni nel corso dei

quali questi ultimi si erano spietatamente combattuti fra di loro. Il jihad

e dunque altra cosa; essenzialmente e radicalmente il termine esprime

lo sforzo estremo e totale sulla Via di Dio (fi sabil Allah), e la tradizione

precisa che la forma più pura, più drammatica anche e nello stesso tempo

più feconda e il cosiddetto al-jihad al-akbar [lo sforzo massimo],

cioè lo sforzo posto in atto nel giardino chiuso delle anime; vale a dire

che la miglior forma d’apostolato e la testimonianza di un’anima che ha

combattuto la battaglia per la perfezione morale. Questa forma di apostolato, mediante la testimonianza, e la sola feconda ed e del resto l’unica compatibile con l’epoca presente, e può fare a meno del proselitismo.

Attraverso la voce del Corano non veniva d’altronde ricordato al Profeta in persona che egli non poteva, a volontà, guidare gli uomini verso Dio, e che in definitiva e Dio che guida verso di se colui ch’egli vuole? (Corano XXVIII, 56).

Insomma il nostro dovere d’apostolato consiste nel testimoniare, ed è di Dio il convertire. «Abbiam fatto di voi una nazione che segue il medio cammino acciocché siate testimoni di fronte a tutti gli uomini e il Messaggero di Dio sia testimone di fronte a voi» (Corano II, 143).

In tal guisa non e impossibile elaborare una teologia musulmana dell’apostolato che sia compatibile con lo scrupoloso rispetto dell’altro;

va da se che ciò e altrettanto possibile al cristianesimo – che e la religione

della testimonianza attraverso il martirio – e alle altre confessioni

tutte. La coesistenza, o meglio la cooperazione senza rinunciare a essere se stessi e alle proprie convinzioni, diviene di conseguenza non solo possibile ma feconda. Evitando gli estremi del proselitismo polemico e del compromesso accomodante, il dovere dell’apostolato resta in tal

modo lo stesso intero. Esso prende solo la forma più nobile e più difficile,

quella del jihad interiorizzato, e apre la via a una sana emulazione

sul cammino del bene. Ma affinché questo jihad interiorizzato non si irrigidisca in un mistico (meglio diremmo statico) ripiegamento su se stessi o non si rammollisca in una facile buona coscienza, cioè in dolce indifferenza, e necessario che esso rimanga testimonianza, si, ma anche disponibilità, ricerca, inquietudine, atteggiamenti rispetto ai quali il ruolo del dialogo può essere determinante. Creando un sano clima di scambio e di tensione intellettuale e spirituale, esso favorirà un approfondimento continuo e reciproco dei valori di fede. All’inerzia subentrerà il movimento.

 

La pluralità delle vie della salvezza.

Ma un atteggiamento di questo genere affinché non sia precario e in definitiva falso, implica che sia ammessa la pluralità delle vie di accesso alla salvezza. Orbene, questo problema non e di facile a soluzione, anzi, qui il ruolo del passato ha un’importanza preponderante rispetto a ogni altro elemento.

Tutti i sistemi teologici, di tutte le confessioni, pochissimi esclusi,

sono stati costruiti sull’assioma espresso nell’uno o nell’altro modo:

«Fuori della Chiesa, nessuna salvezza» All’interno stesso di ciascuna

confessione, per il gioco del rifiuto delle eresie votate alla perdizione

eterna, il numero dei fedeli che beneficia della salvezza si restringe ancora

di più. Cosi, si arriva al punto di pensare che, esclusi alcuni eletti,

la schiacciante maggioranza dell’umanità e destinata alla perdizione. E

nondimeno tutte le confessioni affermano che Dio e Giustizia, Misericordia

e Amore! E in quest’ambito che noi abbiamo bisogno di un vero

e proprio rinnovamento teologico e di una totale riconversione delle

mentalità. Com’e possibile infatti dialogare in un clima di fiduciosa

apertura mettendo in partenza l’interlocutore alla gogna d’un inferno

senza speranza semplicemente a causa delle sue convinzioni?

Da parte della Chiesa Romana si e andata via via profilando a partire

dal Concilio Vaticano II un’evoluzione nettissima che si rivolge in particolare

ai musulmani: «La Chiesa considera con rispetto i Musulmani che

adorano il Dio vivente, onnipotente, creatore del cielo e della terra i cui

voleri sono talvolta nascosti, ma ai quali ci si deve sottomettere, come

Abramo si e sottomesso a Dio, Abramo a cui la fede musulmana volentieri

si riferisce. Sebbene essi non riconoscano Gesù come Dio, essi lo

venerano come profeta; essi ne onorano la madre, la Vergine Maria e talora

l’invocano anche con devozione. Essi adorano Dio con la preghiera,

l’elemosina e il digiuno; si sforzano di condurre una vita morale, sia individuale

sia familiare e sociale in obbedienza a Dio. Se nel corso dei secoli

tra cristiani e musulmani si sono manifestati dissensi e inimicizie, il

Concilio esorta gli uni e gli altri affinche, dimenticando il passato, essi si

sforzino sinceramente di raggiungere una vicendevole comprensione e

affinche mantengano e facciano progredire insieme per tutti gli uomini

la giustizia sociale, i beni morali e anche la pace e la liberta».

Nello stesso spirito, G. C. Anawati precisa che per quel che concerne

la salvezza ≪da molto tempo si e riconosciuto che le due esigenze di

fede richieste da San Paolo esistono anche nell’islam≫, e aggiunge: «Cio

significa che, nel caso ch’io voglia intraprendere il dialogo con un mu-

sulmano, non comincio col metterlo automaticamente nell’inferno per il

solo fatto ch’egli e musulmano. All’opposto, posso assicurargli che in

determinate condizioni, che sono ben lungi dall’essere irrealizzabili, egli

può, pur restando musulmano convinto, assicurarsi la salvezza». Per

un dialogo fruttuoso e possibile immaginare una premessa migliore?

Qual e l’atteggiamento dell’islam? Contrariamente a ciò che si può

pensare, fin dal Medioevo esisteva già la disposizione di spirito sopra descritta.

La si ritrova in un teologo ineccepibile che i sunniti considerano

unanimemente come il portavoce dell’islam (hujjat al-islam), quel

Al-Ghazali (1058-1111) il quale, nel suo Faysal al-tafriqa, ammette

che particolarmente in determinate condizioni di sincerità e di vita onesta

sia possibile la salvezza per i non musulmani. In anni più recenti un

teologo della nahda, Muhammad 'Abduh (1849-1905), commenta anch’egli

nella stessa prospettiva il versetto seguente:

Ma quelli che credono, siano essi ebrei, cristiani o sabei, quelli che credono

cioè in Dio e nell’Ultimo Giorno e operano il bene, avranno la loro

mercede presso il Signore, e nulla avran da temere ne li coglierà tristezza

(Corano II, 62). Lo stesso versetto trova conferma, con pochissime varianti, più avanti (Corano V, 69; si veda anche II, 111-112).

[…]

Non e dunque impossibile, sia per l’islam sia per il cristianesimo, e di sicuro anche per le altre grandi confessioni, appoggiandosi su testi sacri e anche su una certa tradizione antica, rilevare una teologia che assicuri un qualsiasi posto alla pluralità delle voci di salvezza, non foss’altroche perche non si può vietare alla bontà divina di superare, in un gesto di giustizia, di misericordia e d’amore, il quadro angusto di questa o quella chiesa per estenderla a tutti gli uomini onesti e di buona volontà.

Dio resta liberamente e interamente giudice, e noi dobbiamo rimetterci con fiducia alla sua saggezza. In ogni caso dobbiamo astenerci

dal giudicare in sua vece. Tutto ciò non ha necessariamente per corollario il sostegno del quietismo o l’evanescenza della verità divenuta diffusa e intercambiabile. Il pericolo di questo modo di concepire pluralisticamente le vie della salvezza e che tutte le religioni rischiano di essere viste come di valore relativo.

Penso che il lettore avrà colto che, nella nostra concezione, questo rischio esiste solo al di fuori del cuore del credente sincero, il quale invece continua a essere l’epicentro dell’Assoluto della fede da lui professata, di cui e testimone. Nei limiti del ben definito quadro che ci interessa dobbiamo infatti sottolineare, per non falsare indebitamente le prospettive, che il Corano, con forza e insistenza e moltiplicando gli argomenti e gli avvertimenti, chiama all’islam in quanto ultimo messaggio di Dio che conferma e completa tutte le scritture precedentemente enunciate. Il Corano precisa altresì, senz’ombra di equivoco, che se qualcuno, pur profondamente convinto della veracità del messaggio coranico, desidera comunque, per opportunismo o per qualche altra ragione, praticare una religione diversa, ciò non sarà accettato da Dio, «ed egli nell’altra vita sarà fra i perdenti» (Corano III, 85).

Insomma la Verità e una. A essere molteplici sono le nostre facoltà di comprensione. Esse ci sono date in sovrappiù. Se infatti non siamo totalmente passivi ed esclusivamente ricettivi, se siamo responsabili e

dobbiamo costruire noi medesimi il nostro destino cercando tragicamente la nostra strada tra molti frangenti, e anche Dio in definitiva che guida la nostra barca e le evita di infrangersi. La condizione umana e dilemmatica. Può allora stupire che le strade verso la salvezza divergano? In queste condizioni solo la totale buona fede e la sincerità sono esigenze assolute, imperativi che non sopportano nessuna transazione.

E ci imbarchiamo grazie a Dio! Ammettere perciò la pluralità delle vie

della salvezza non e lo stesso che abdicare, che rinunciare a considerare vero quel che si crede vero. Al contrario, l’adesione alla fede diventa anche più impegnativa perché più lucida. La fede, infatti, in tal caso non e più una semplice appartenenza sociale né subordinazione, anzi diventa comunione reale e impegno stretto e coerente. Cosi noi riguadagniamo il dovere dell’apostolato tramite la testimonianza, che e tanto rispetto di se quanto rispetto dell’altro; poiché nessuno ha il diritto di distogliersi e di rinnegarsi per mera arrendevolezza e convenienza, e di rifiutare di fatto di riconoscersi e responsabilizzarsi.

 

12. Oggetto del dialogo

Ma, si può obiettare, rimosse le difficoltà indicate, e realizzate le condizioni

sopra definite, il dialogo conserva ancora un senso e un oggetto?

Certamente. Esso diventa radicalmente collaborazione disinteressata e senza secondi fini, a servizio di Dio, cioè del bene e della verità. In un’atmosfera priva d’equivoci, distesa, pura e serena, ci si può impegnare nel dialogo a profitto di tutti, senza alcuna eccezione ne esclusiva.

Non dobbiamo infatti illuderci: se il dialogo non e fruttuoso per tutti, a pari condizioni e ritorni, se ogni interlocutore non vi trova il proprio tornaconto, esso non si instaurerà o cesserà bruscamente. Ciascuna comunità, se si sente minacciata, innalzerà barriere «doganali» e si aggrapperà al protezionismo intellettuale che, se in fin dei conti non ha la possibilità d’essere di miglior effetto del protezionismo economico, non mancherà lo stesso d’imporsi. Gli e che, in caso di pericolo grave, non si riflette alla recessione rappresentata dall’isolamento. L’istinto primario di conservazione diventa allora sempre più forte.

Per contro, in un’atmosfera di fiducia, le idee circolano più facilmente e assicurano, con la loro capitalizzazione e il loro investimento, l’arricchimento di tutti. Il primo obiettivo che si deve fissare per il dialogo e dunque quello di rompere i compartimenti e di aumentare la quantità di bene nel mondo con il libero scambio delle idee. Su tutti i grandi problemi che a noi si pongono e talora sfidano perfino il senso della nostra esistenza, tutte le famiglie umane, senza distinzione di orientamento, materialista o spiritualista, hanno interesse a confrontare le loro soluzioni e a unire i loro sforzi. Sulle vette non e infatti cosi difficile tendersi la mano, anche quando le fonti d’ispirazione divergono o s’oppongono. L’espandersi dell’unificazione culturale, che e forse il fenomeno più stupefacente del nostro tempo, avvicina ogni giorno di più gli uomini e li pone sullo stesso terreno. Intorno a più di un problema cruciale della nostra epoca, credenti e non credenti di tutti le provenienze meditano spesso utilmente in comune e s’arricchiscono l’un l’altro delle loro reciproche differenze.

Da ciò deriva che deve essere ancor più facile, per tutti i credenti uniti nell’unanime servizio a Dio, riflettere insieme, e scoprire, in un ambiente preventivamente risanato quale abbiamo indicato, un linguaggio comune. Nulla ad esempio ostacola, assolutamente nulla, una meditazione comune sugli interrogativi che pone il documento conciliare Nostra aetate, interrogativi sullo scopo dell’uomo e della vita, sul senso del bene, del peccato e della sofferenza, sulla via per giungere alla vera felicità, sulla morte, il giudizio e la ricompensa dopo la morte, cioè l’interrogativo sull’ultimo e ineffabile mistero che circonda la nostra esistenza, il mistero sotteso alla nostra origine e verso il quale tendiamo. Ciascuno di questi interrogativi potrebbe essere il tema di uno o più colloqui; perche non organizzarli davvero invitandovi i rappresentanti di tutte le confessioni bibliche ed extra-bibliche? Per evitare la contrapposizione, effettivamente e opportuno che queste riunioni siano aperte a pensieri e opinioni quanto più diversi possibili. Esistono congressi che riuniscono periodicamente gli storici, i filosofi o i fisici di tutti i continenti. Perche non ve ne dovrebbero essere che raggruppino i credenti di tutte le fedi per illuminare con luci diverse le domande che tutti si pongono? Convegni di questo tipo sarebbero veramente utili, se non altro perche insegnerebbero ai responsabili ufficiali delle diverse chiese (e non soltanto agli intellettuali ai suoi margini) a incontrarsi, a conoscersi e a comunicare. Nel mondo della contestazione che e il nostro, ripiegarsi su se stessi equivarrebbe per una religione ad assumere

morfina per morire senza dolore.

[…]

Dunque le possibilità di comunicazione e di scambio esistono realmente.

Tutto sta nel saperle scoprire e rafforzare. L’edificazione di una teologia delle religioni (compito del domani), di una teologia morale, di una teologia sociale in presa diretta contro le sfide della nostra epoca, e, ancora di più, ’elaborazione di un’altra forma di meditazione o di azione, possono davvero profittare della collaborazione di coloro che pensano che il destino dell’uomo e strutturato nel progetto di Dio finalizzato da un’esistenza che non si riduce a questo mondo, a fronte di coloro che fanno di questo mondo la misura effimera di tutte le cose in un universo chiuso e senza uscita, frutto non dell’attività divina cosciente e creatrice, ma della necessità e del caso. Depurato di ogni elemento che possa deviarlo verso argomentazioni oziose e cavillose, il dialogo perciò non e mai o quasi mai vacuo; anzi guadagna perfino in profondità e acquista ancora più senso. Il vasto dominio dell’etica basta da solo nel nostro mondo smarrito alla ricerca di una nuova strutturazione della società e dei valori, a dargli un terreno sicuro e praticamente infinito. Che cos’e che il Messaggio di Dio offre a tutti gli indigenti del mondo, a tutti gli alienati, nessuno escluso, a tutti gli oppressi, a quelli che pregano e supplicano, oppure contestano, si rivoltano e bestemmiano? E su questo terreno privilegiato che e urgentissimo intavolare il dialogo, poiché dalla risposta elaborata, per tutte le religioni, dipende in ampia misura l’avvenire della presenza di Dio nel cuore degli uomini.

[…]

 

13. Funzione del dialogo

Ma se le virtù del dialogo non sono senza fine, se il suo oggetto non e senza limite, la sua funzione resta in ogni caso totale. Essa consiste nello scuotere, nel far muovere e nell’impedire alle persone di invischiarsi nelle proprie convinzioni. Ognuno naturalmente ha diritto di non condividere un certo punto di vista, ma non c’e nessuna scusa che impedisca di cominciare subito a prenderne correttamente conoscenza, a esserne convenientemente informati. Precisiamo per i musulmani in particolare che le idee considerate più pericolose possono talora rivelarsi le più salutari, non fosse altro per lo straordinario potere che hanno di «disinfestazione». A condizione, naturalmente, che agiscano come revulsivo su una coscienza disposta, attenta e adeguatamente preparata; altrimenti esse possono anche non aver altro risultato che accelerare lo sfascio e la disgregazione di strutture precarie, senza apportare alcun beneficio. Per quel che riguarda lo stato attuale dell’islam, questo rischio e troppo reale perché lo si possa dimenticare. Sia l’islam sia qualsiasi altra fede in Dio non hanno oggi altra scelta che quella di accettare il rischio. La scienza, spostando ogni giorno di più all’indietro le frontiere del mistero e dell’universo, ci pone problemi e interrogativi ai quali ne i filosofi ne i teologi possono abdicare senza rinnegare quella realtà che e, fondamentalmente e radicalmente, l’uomo.

Essa esige da tutti un sovrappiù di riflessione e da parte dei credenti una rilettura, attualizzata da una nuova problematica, della rivelazione.

Non e necessario sottolineare che la risposta non può essere una semplice e vaga disposizione alla concordia, un«unanimismo» quale si riscontro spesso nell’islam a partire dall’epoca della rinascita. Donde la necessità di un’apertura senza paratie e con molteplici antenne. E necessaria una nuova esegesi che non rinneghi obbligatoriamente le ricchezze e le acquisizioni positive del passato, ed essa ha bisogno di un clima di avventura, di scambio (e di tensione, forse, in qualche caso) e di rispondere a tutte le inquietudini. Creando questo vivificante clima di tensione, che e drammaticamente mancato all’islam nel corso dei secoli, il dialogo può avere il ruolo di far uscire i musulmani dal loro falso contento e aprirne nuovamente i cuori e le orecchie al messaggio di Dio. Perche se la parola di Dio, come ogni musulmano crede, è eterna, ne deriva necessariamente che, sebbene rivelata nel tempo e nello spazio, essa trascende anche la temporalità e la spazialità, per essere sempre e dovunque udibile, presente e costantemente nuova.

Essa deve dunque essere percepita e ricevuta non in modo statico, ma come una somma di virtualità e di potenzialità che devono essere incessantemente attualizzate mediante interrogativi a ripetizione. Questa esigenza non e necessariamente rivoluzionaria. E quella di numerosi esegeti del passato, i quali erano giustamente incantati della ricchezza di significati del mondo coranico, che rompe le barriere abituali del linguaggio sotto l’esuberante spinta delle potenziali acquisizioni. Donde la necessità di ascoltare Dio con i nostri orecchi di oggi, nell’istante costantemente presente. Il rilancio di un’esegesi moderna, che metta assieme la prudenza e le audacie, in presa diretta sulle angosce, le inquietudini e gli interrogativi del nostro tempo, e dunque la condizione sine qua non perche Dio non sia espropriato del mondo, e ritorni presente nell’agire umano. Tale rilancio non può svilupparsi altrove che nel clima di dialogo con tutti, credenti e non credenti.

Questa esegesi ha il dovere di incorporare tutto ciò che può essere incorporato. Certamente i rischi di crisi e di deviazione sono reali, e le

loro conseguenze non devono sottovalutarsi; ma, appunto, la vocazione

naturale di una religione non e forse quella di essere perpetuamente in

crisi, cioè in tensione, tesa al superamento? Il credente, nel suo sforzo

di percepire correttamente il messaggio di Dio, non può voltare le spalle

alle conquiste, anche quando esse siano solo provvisorie, del sapere

moderno in tutti i campi delle discipline umanistiche e delle scienze esatte. D’altra parte ormai i problemi non si pongono più in termini di ortodossia e di eterodossia. La verità pura, limpida e inalterabile e forse mai esistita? Ed e alla portata dell’uomo? La verità non e una stella che ci guida, più che una fiaccola da impugnare con baldanza? Il Corano ci dice: «Afferratevi insieme tutti alla corda di Dio e non disperdetevi» (Corano III, 103). Questa corda non e forse contemporaneamente fune d’ormeggio e filo d’Arianna? E la tradizione aggiunge: chiunque fa un sincero sforzo di riflessione e raggiunge lo scopo e doppiamente retribuito; chiunque fa un sincero sforzo di riflessione e manca lo scopo, sarà senz’altro ugualmente retribuito. Insomma, solo i pavidi, quelli che rifiutano la corda che li trae verso Dio e che a lui preferiscono l’immobilismo e la comodità dell’inerzia, non hanno retribuzione. Questa e riservata a quelli che lottano, s’interrogano e vivono sinceramente e intensamente la propria fede. Orbene, il dialogo con tutti ha proprio la funzione, in qualsiasi frangente, di rianimare costantemente la nostra fede, di non lasciarla affievolire e di mantenerci in permanenza in stato di ijtihad, cioè di riflessione e di ricerca.

 

Conclusioni

Dove infine approderà questa ricerca, condotta in spirito fattivo e non d’isolamento? Nessuno può dirlo con esattezza. Si tratta di un’avventura

che dobbiamo vivere giorno dopo giorno.

[…]

Cosi, alla fine, sfociamo nell’insondabile mistero del piano di Dio e

della condizione umana. Dobbiamo perciò adattarci alle nostre diversità

e alle nostre divergenze, e, tutti rivaleggiando nelle buone azioni,

fare in modo che la prova dei dissensi sia abbreviata. Dobbiamo anche

evitare di riporre troppa speranza insensata nel dialogo, per premunirci

contro le amarezze e lo scoraggiamento, e poter cosi perseverare contro

il vento e la marea. Giacché, non facciamoci troppe illusioni, resteranno ugualmente vie discordanti malgrado le precauzioni prese. Non c’è mai stata nel passato bacchetta magica capace di dissipare di colpo i malintesi e di trasformare il mondo. Non ci sarà di certo neppure nel domani. Il dialogo e lunga pazienza. Se permette d’abbozzare un progressivo riavvicinamento, se sostituisce all’indifferenza o alla riserva ostile una reale amicizia, cioè una vera fratellanza nella diversità delle fedi e delle opinioni, e già molto. Dialogare, infatti, non significa necessariamente cercare una soluzione comune, e ancor meno implica la necessita imperiosa di un accordo. La sua funzione e piuttosto quella di arrecare maggior chiarezza e apertura al dibattito, e di permettere del pari a tutti gli interlocutori di superarsi, di non irrigidirsi sulle proprie certezze. La strada verso il Regno della Luce sarà lunga, e Dio ha voluto che sia avvolta di mistero.

[…]

 

*( Le vie del dialogo nell’islam / Mohamed Talbi, introduzione di

Andrea Pacini – XIV, 155 p. : 21 cm Traduzione dal francese e dall’inglese di Vincenzo Abrate.

www.fga.it/uploads/media/Le_vie_del_dialogo_nell_Islam.pdf )

Contatto

J. Prof. Dr. T. Specker,
Prof. Dr. Christian W. Troll,

Kolleg Sankt Georgen
Offenbacher Landstr. 224
D-60599 Frankfurt
Mail: fragen[ät]antwortenanmuslime.com

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