Croce, peccato, redenzione
I Musulmani domandano
- Come può leterno Dio soffrire e morire in croce? Come può Dio abbandonare nelle mani dei suoi nemici un così grande profeta come Gesù? Come può il Padre sacrificare suo Figlio sulla croce? Tutto questo è semplicemente blasfemia.
- La morte di una persona innocente e giusta non può cancellare i peccati altrui né redimere questi dai propri peccati. Che un innocente debba morire al posto di una persona colpevole rappresenta uningiustizia clamorosa.
- Al contrario di quanto affermato dal Cristianesimo, il perdono dei peccati da parte di Dio non esige in nessun modo un simile sacrificio. Dio è onnipotente e perdona i peccati a tutti gli uomini; è sufficiente che essi si convertano o che semplicemente restino fedeli alla loro fede musulmana. Dio è benevolo, non è un giudice senza misericordia.
- Perché tutti gli uomini debbono portare le conseguenze del peccato di Adamo e perché a causa del peccato di Adamo sono ritenuti colpevoli? Come può essere peccatore un bambino appena nato, quando ancora non ha potuto commettere alcun peccato? Ogni singola persona non è forse responsabile delle proprie azioni?
- La natura umana non è così radicalmente malvagia. Perché questo pessimismo cristiano?
- È vero che i teologi cristiani moderni rifiutano la concezione che lintero popolo ebraico sia stato ripudiato da Dio a causa della sua implicazione nella morte violenta di Gesù?
II. Visione musulmana
In generale
Ciascuno è responsabile delle proprie azioni e per loro viene premiato o punito personalmente. Il pensiero che i figli debbano farsi carico delle colpe dei loro padri così come lidea che qualcuno debba espiare per altri, è assurda e non è in nessun modo evidente.
I Cristiani hanno ingigantito la gravità del peccato. Il peccato deve essere compreso principalmente come la trasgressione di convenzioni morali o sociali (haram); nel caso peggiore come linfrazione della legge data da Dio (sharia). Esso non rappresenta però in nessun caso unoffesa a Dio stesso. Egli è troppo grande ed elevato per poter essere offeso dai peccati della sua creatura. Dio, nella sua potenza e benevolenza, perdona con una facilità sovrana e generosa. Si può essere considerati buoni Musulmani anche se non si segue la Legge sempre e sotto ogni aspetto. Imperdonabili sono solo i peccati di idolatria, cioè porre qualcuno o qualcosa di fianco a Dio (shirk) e lapostasia (irtidad), cioè il rifiuto dellIslam come vera religione da parte di un Musulmano.
La dottrina cristiana dellincarnazione è, in sé, uno scandalo; la crocifissione, con lidea di un Dio che si fa uomo e muore come un essere riprovevole, è ancora peggio. La crocifissione di Cristo è esplicitamente negata dal Corano e rifiutata con sdegno.
La croce ha operato anche cose nefaste nella storia. Essa è servita come simbolo in imprese che non possono assolutamente essere considerate prove dellamore cristiano: nelle crociate, che sono collegate sia nelle lingue occidentali che in quella araba con la parola croce (salib, al-hurub al-salibiyya: le guerre allinsegna della croce); nel colonialismo, in cui potere politico e Cristianità sono stati così strettamente coimplicati. Ancora oggi le tensioni tra il mondo Islamico e quello Occidentale vengono frequentemente rappresentate con i simboli della croce e della mezzaluna.
Nonostante tutto, ancora oggi i Cristiani continuano a confessare il valore salvifico della croce. Nei catechismi e nei testi devozionali si afferma ancora: Cristo ha espiato per noi, … Verso la giustizia divina egli ha fatto la riparazione per i nostri peccati, … Per il peccato di Adamo ed Eva noi tutti siamo diventati peccatori….
In particolare
1. Luomo ed il peccato
Il Corano racconta del peccato di Adamo con parole ed in un contesto che è molto vicino a quello della Bibbia (Sure 2,30-38; 7,19-27; 20,117-123). Il comando di Dio diceva che luomo non doveva mangiare dellalbero della vita. Il peccato di Adamo e quello della sua consorte (Eva nel Corano non viene mai chiamata per nome) consiste nel fatto che si sono ribellati al comando di Dio. Tuttavia è importante sottolineare che Adamo si pentì e Dio lo perdonò. Così egli ha potuto inaugurare la serie dei profeti senza peccato.
Il peccato di Adamo ha avuto conseguenze per i suoi discendenti. Essi rimasero esclusi dal Paradiso e sono esposti alle tentazioni di Satana. La loro convivenza è caratterizzata dalla discordia. In altri versetti però il Corano contesta con veemenza contro ogni idea di responsabilità collettiva. Più volte viene ripetuta laffermazione: «Nessunanima carica sarà caricata del carico altrui», (Sure 6,164; 7,28; 17,15; 35,18; 39,7). Il fatto che i nostri padri abbiano peccato non può giustificare il nostro commettere errori. Ciascuno è invitato a sentirsi personalmente responsabile. Il Giudizio finale sarà strettamente personale. Ciascuno dovrà rendere ragione delle sue azioni nellultimo giorno (Sure 52,21; 53,38; 56,4-11; 82,19; e specialmente 99,7-8: «E chi ha fatto un grano di bene lo vedrà – E chi ha fatto un grano di male lo vedrà»).
Tuttavia il Corano riconosce che luomo per sua natura tende al male. Se parla delluomo in generale (al-insan) dice quasi sempre di lui che è ribelle (asin), ingrato o infedele (kafir), violento, impaziente, litigioso ed inaffidabile (Sure 2,75; 3,72; 5,61; 6,43; 7,94-95; 14,34; 17,11.67.100; 18,54-55; 21,37; 33,72; 48,26). Egli versa sangue e compie malefatte (Sura 2,30) sin dal primo spargimento di sangue, luccisione di un figlio di Adamo per opera dellaltro (Sura 5,27-32), fino al sangue dei profeti uccisi dai figli dIsraele (Sure 2,61; 3,21.112.181.183; 4,155; 5,70). Riferendosi allanima, il Corano dice che «lanima appassionata spinge al male» (Sura 12,53).
Oltre a questo, il Corano parla della solidarietà di tutti gli uomini sia nei peccati che nelle opere buone. I malvagi producono empietà, coloro che sono perduti tentano di portare alla perdizione (Sure 2,109; 3,69.98.110; 5,49) ed essi si riuniscono insieme contro Dio (Sure 5,78; 8,73; 21,54). I fedeli invece praticano la solidarietà e si aiutano gli uni gli altri nellesortarsi a vicenda a fare il bene (Sure 4,114; 9,71; 60,10).
Per quanto riguarda le intercessioni (shafaa), i teologi musulmani dicono che, secondo il Corano, ogni profeta offrirà intercessioni per il suo popolo (Sure 24,62; cf. 3,159; 4,54; 8,33). Muhammad in particolare intercederà per i suoi seguaci, i Musulmani, in risposta alle loro preghiere e, chiaramente, sempre solo con il permesso di Dio (Sure 2,255; 10,3; 19,67). In ambito Sufi si può notare la tendenza ad aumentare il numero degli intercessori (wali, pl. awliya: santi, amici di Dio) con il rischio di stimolare la superstizione e di incorrere nel rimprovero dei teologi.
2. La croce
Il Corano nega esplicitamente la morte di Gesù in croce: «né lo uccisero né lo crocifissero, bensì qualcuno fu reso ai loro occhi simile a Lui» (Sura 4,157; cf. 3,55). Labituale interpretazione data dai commentatori del Corano alla frase «shubbiha lahum» (così parve loro) è che qualcun altro fu sostituito a Gesù e fu crocefisso al suo posto. Tra i vari personaggi che assunsero le sembianze di Gesù, secondo alcuni Hadith ed esegeti, troviamo il capo dei Romani, Simone di Cirene, Pietro e Giuda Iscariota. Nella tradizione islamica nel suo complesso senza dubbio Gesù non è stato crocefisso; ma Dio, proteggendolo, lo sottrasse dalla portata dei suoi nemici e lo elevò fino a sé nel cielo. Egli ritornerà alla fine dei tempi per annunciare limminente arrivo dellUltimo Giorno.
È importante comprendere perché il Corano e lIslam giungano a negare un evento che è invece considerato un fatto storicamente sicuro. Più che linflusso di correnti docetiste e gnostiche è la singolarità del monoteismo del Corano stesso che conduce alla conclusione che Gesù non sia morto in croce. Nel Corano le storie che narrano della serie dei profeti sono costruite con la stessa ed unica forma: il profeta viene inviato alla sua nazione, viene da essa rifiutato eccetto che da un piccolo numero di persone; la gente vuole ucciderlo, ma Dio lo salva con un miracolo. Questo perché Dio non può consegnare il suo inviato ai suoi nemici. Si deve riconoscere che nel periodo Medinese il Corano biasima i figli dIsraele, gli antenati degli Ebrei di Medina, per aver ucciso i profeti inviati loro, ma questi sono versetti piuttosto brevi mentre il modello dominante nel Corano è quello dei profeti liberati da Dio dalle mani dei loro nemici e vendicati di fronte agli increduli. La storia di Gesù segue esattamente lo stesso schema.
3. Il perdono dei peccati
Il Corano presenta spesso Dio come colui che è ricco nel perdono. La conversione del peccatore ed il perdono di Dio sono in rapporto luno con laltro. Il perdono di Dio precede addirittura il pentimento delluomo e ne è la causa (Sura 9,118). I teologi musulmani insegnano che il pentimento cancella i peccati: questo avviene quasi automaticamente secondo la dottrina dei Mutaziliti; solo se Dio lo vuole, invece, secondo gli Ashariti, che paradossalmente affermano che il pentimento delluomo ed il perdono di Dio sono rigorosamente non collegati. Se un uomo si pente, i suoi peccati sono cancellati; se, tuttavia, egli non lo fa, Dio può comunque perdonarlo. In ogni caso, la stessa dottrina asharita dice che chi conserva nel suo cuore un atomo di fede (musulmana) entrerà in Paradiso. Al contrario, il Corano e i teologi moderni, insistono sullimportanza delle buone opere.
III. Visione cristiana
1. Il peccato originale
La maggior parte degli esegeti e dei teologi cristiani contemporanei sono concordi sul significato dei testi di Genesi 3 e di Romani 5,12-21. Questi testi non rappresentano una spiegazione scientifica dellorigine degli uomini sulla terra e delle fasi della loro evoluzione, bensì esprimono, con una narrazione simbolica, una convinzione che è sorta dallosservazione generale del male e del peccato nel mondo.
Da quando cè luomo sulla terra – quale che sia il modo di spiegarne le origini – il peccato è presente: egoismo individuale e di gruppo, scontri omicidi, ribellioni contro Dio e i suoi comandamenti, idolatrie. Ogni uomo sperimenta in sé la lotta tra il bene che vorrebbe compiere ed il male che lo tenta (Romani 7,21-25). Questa forza attrattiva del male ha i suoi effetti fin nellintimo della nostra umanità. Ogni bambino la porta in sé dalla nascita. Luomo non sperimenta solamente lessere in armonia e in amicizia con Dio, ma eredita anche una natura contrassegnata da una lunga storia di bene e di male, una natura imbrigliata da un reticolo di peccati personali. Tutto ciò mina la possibilità di comprensione e di unità tra gli uomini, sia tra loro stessi, sia tra essi e Dio. Tutto questa situazione è sintetizzata nellespressione biblica il peccato del mondo (Giovanni 1,29). Così Paolo giunge a questa conclusione: ogni uomo, sia egli Ebreo, Greco o pagano, è affidato alla grazia perdonante di Dio, che si è resa manifesta in Gesù Cristo (cfr. Romani 3,21-25; Efesini 2,8-9). Nel battesimo il fedele si sottomette al dominio di Cristo in cui è spezzata la forza del peccato, inteso qui come milieu, ambiente o potere dominante, non come atto personale e individuale.
Il termine peccato originale non si riferisce dunque ad un peccato personale, che renderebbe colpevole ogni uomo sin della nascita. Nessun testo della Bibbia o del Magistero ci permettono di parlare della trasmissione di una colpa personale. Il profeta Ezechiele (nel capitolo 18) protesta in modo veemente contro questa idea che Gesù stesso rifiuta (cf. Giovanni 9,2-3; Matteo 16,27).
2. Croce e Redenzione
La fede nella redenzione attraverso la croce ha, in effetti, prodotto anche formulazioni dubbie e forme insane di pratiche religiose: una specie di trasfigurazione religiosa e di glorificazione della sofferenza (dolorismo) che talvolta è arrivato ai limiti del masochismo; o allideale di una obbedienza passiva; o ancora, a una mentalità che fa i conti con la giustizia divina; o alla pretesa di tentare la riparazione della colpa attraverso la libera sopportazione di punizioni al posto daltri, ecc. Si potrebbe includere in questa categoria anche il modo in cui, talvolta, alcuni leader rivoluzionari contemporanei elogiano lestremo sacrificio della vita di una persona nella lotta santa per la giustizia e la liberazione. Per questo è opportuno richiamare alla memoria alcune verità cristiane fondamentali.
2.1 La croce come conseguenza della vita di Gesù
La vita di Gesù è essa stessa liberante e redentiva. Egli mostrò una certa libertà interiore nei confronti della pratica della Legge religiosa, che da lui era considerata in parte quasi contraria alloriginaria volontà di Dio, in quanto caricava di inutili fardelli gli uomini (cf. Matteo 11,28; 23,4; Luca 11,46). Questo modo di fare, oltre alla piena fiducia verso ciò che rivelò essere il vero volto di Dio come Padre, che ama tutti gli uomini senza precondizioni, gli attirò lostilità dei capi del suo popolo. Questi capi condannarono Gesù a morte, con la complicità di coloro che erano rimasti delusi da Gesù. Essi lo consegnarono al potere dei Romani che lo giustiziarono secondo le loro leggi con la classica, crudele, pena della crocifissione. La morte violenta di Gesù è stata linevitabile conseguenza di tutto ciò che Gesù mise in moto nella sua vita.
La morte di Gesù in croce sembrò dare definitivamente ragione ai suoi oppositori: le sue pretese non potevano essere vere e corrispondere alla realtà perché, se lo fossero state, non sarebbe morto così, abbandonato da Dio e dal mondo intero. I discepoli, che avevano creduto che in Gesù operasse Dio stesso e che il suo regno fosse vicino, si videro ingannati. Dio doveva essere diverso da ciò che Gesù aveva insegnato.
Se i discepoli non rimasero in questo stato di delusione, ma confessarono nuovamente Gesù come rivelazione di Dio, questo fu dovuto al fatto che i loro occhi furono aperti e videro Gesù, il crocifisso, in una forma nuova e lo poterono di conseguenza incontrare in modo nuovo.
La morte in croce di Gesù non deve quindi essere vista come prova del fatto che Gesù si sbagliasse nellannunciare Dio come amore incondizionato, invitando a comportarsi di conseguenza. Erhard Kunz SJ scrive a questo proposito:
La morte di Gesù può anche essere compresa proprio come intrinseca e profonda conseguenza di questo amore, così che listanza fondamentale di Gesù non viene screditata dalla croce come fosse un inganno, ma viene piuttosto validata da essa. Poiché, chiunque ama e fa il bene, senza pretendere alcuna condizione al suo amore e al suo fare il bene, costui resterà sempre accanto allaltro, in qualsiasi situazione si trovi, mostrandogli dedizione anche e soprattutto quando questi si trova nel bisogno. Chi ama alla maniera di Gesù non ha paura della sofferenza e non si mantiene lontano da essa, piuttosto vi prende parte, mostrando compassione, nel senso più profondo del suo significato: soffrire con, soffrire insieme. In un mondo in cui esiste bisogno e miseria lamore ci conduce allinterno della sofferenza (cf. Luca 10,30-37). Così lamore come Gesù lo concepisce non si separa dallaltro neanche quando questi è caduto nel male. Esso sopporta il male e cerca di superarlo attraverso il bene. Nel sopportare lingiustizia e la violenza senza lasciarsi esacerbare, spezza il circolo vizioso fondato sulla legge del taglione (occhio per occhio). Di fronte allamore, che non risponde con il male se viene colpito, scompare il male. In questo modo lamore vince il male. In un mondo in cui il male ha valore lamore porta a soffrire una violenza ingiusta, nel caso estremo a soffrire una morte ingiusta (cf. Matteo 5,38-48).
Se Gesù in un mondo sofferente e malvagio vuole rendere testimonianza a Dio, amore senza limiti e senza condizioni, allora non potrà sottrarsi alla sofferenza e dal sopportare una violenza ingiusta. Essere colpito da sofferenza e violenza non mina, perciò, la proposta fondamentale di Gesù, è al contrario il modo con cui, nel nostro mondo, un amore senza condizioni può diventare efficace. Il bene cui tende lamore può venir raggiunto nel nostro mondo solamente attraverso la con-passione e la sofferenza che prevale sul male. Solamente se il chicco di grano cade sulla terra e muore potrà portare frutto (cf. Giovanni 12,24). In questa prospettiva la morte di Gesù in croce non appare come una fine fatale, rivelatrice del fatto che tutto ciò che è stato era mera illusione, ma come il necessario compimento del ministero di Gesù. Con la sua sofferenza e la sua morte Gesù ama fino alla perfezione (Giovanni 13,1)(7).
2.2 Il significato redentivo della morte di Gesù alla luce della Resurrezione
Dio avendo risuscitato Gesù dai morti conferma il significato interiore che aveva dato alla vita e alla morte di Gesù. Avendolo risuscitato dalla morte alla vita, lo fa presente nella vita di tutti gli uomini di ogni tempo. Il significato della morte e della vita di Gesù diviene così presente ed operante tra di noi come qualcosa di contemporaneo. Poiché Gesù, in quanto Risorto da morte, vive in Dio ed è presente, può ancora oggi – come nella sua vita prima della resurrezione – trasmettere agli uomini lamore indulgente di Dio. In quanto Risorto da morte Gesù ha il potere di liberare dal peccato e dalla morte. Perciò ogni persona è redenta nella misura in cui sceglie, consapevolmente o inconsapevolmente, di entrare nella vita di Gesù: cioè di vivere con lui ed in lui nella stessa fedeltà alla verità che viene da Dio; di amare i fratelli e le sorelle fino alla donazione della vita e di perdonare incondizionatamente gli avversari ed i nemici. In questo modo viene spezzata la catena dellodio che tiene in prigione ed in schiavitù entrambi, vittima e colpevole, sotto lo stesso ed unico giogo. In una parola: con la resurrezione di Gesù, Dio rende lamore vincitore sullodio.
Gesù è il Signore, il Salvatore ed il Redentore attraverso la sua resurrezione che trasforma la sua esemplare vita e la sua morte in una forza reale di liberazione dalle catene del peccato e della morte e rende possibile agli uomini lentrare nella vita del Figlio di Dio.
Di conseguenza possiamo dire con la Scrittura: Gesù non è morto solamente a causa dei nostri peccati, cioè come vittima dei disaccordi così generalmente diffusi, dellegoismo e dellodio, ma anche per noi peccatori, cioè per aprirci il cammino verso la liberazione dai nostri peccati e per ottenere la forza e la grazia per questa liberazione.
2.3 La riflessione dei primi Cristiani sulla vita e sulla morte di Gesù
I discepoli di Gesù, donne e uomini, erano totalmente attoniti per la resurrezione. Dopo essere giunti allesperienza e alla convinzione del definitivo fallimento e morte di questo profeta, furono sopraffatti dallesperienza della presenza di Gesù resuscitato nello Spirito Santo. Essi annunciano ora che Gesù è Signore e Redentore. È assolutamente naturale che essi abbiano cercato una spiegazione per la sua morte scandalosa. In questo vennero loro in aiuto i modelli di pensiero che la cultura biblica suggeriva loro. Per esempio si sviluppò il tema del testimone perfetto ovvero del martire che, nella sua libera e totale donazione, attesta la sua fedeltà alla missione affidatagli dal Padre (Giovanni 10,18; 18,37; cf. Atti degli Apostoli 1,5; 3,14); oppure il tema del servo sofferente, che muore per i peccati del suo popolo (Isaia 50,5-8; 53,1-12); o il tema del Redentore: è Yahweh stesso, il goel, che redime il suo popolo liberandolo dalla schiavitù dellEgitto e affrancandolo o riscattandolo come suo popolo (Esodo 6,6-8; cf. 2 Samuele 7,23s; Geremia 31,32); ed infine il tema del sacrificio assoluto in cui la vittima offre se stessa e si sostituisce così allanimale sacrificale precedentemente sacrificato (Ebrei 7,27; 9,12.26.28; 10,10.12-14; cf. Romani 6,10; 1Pietro 3,18).
Questo sforzo dei primi Cristiani di rendere comprensibile la morte di Gesù alla luce della sua resurrezione ha permeato i vari testi del Nuovo Testamento. Il vocabolario della tradizione cristiana si è sviluppato in questo processo di riflessione, dallebraico al greco, al latino, alle altre lingue e alle loro rispettive culture: martirio, redenzione, riscatto, sacrificio, offerta, riparazione, sostituzione.
2.4 Teologie della redenzione
Costruendo sulla base di questo vocabolario e talvolta anche liberandolo dalle sue radici bibliche, le teologie della redenzione hanno utilizzato i contesti culturali del loro tempo, con una particolare attenzione alle categorie giuridiche, così care al mondo latino. In questo modo si sono sviluppate le seguenti teorie:
1. La teoria della punizione (i Padri latini, Agostino [354-430]): il peccato esige una punizione che sia equivalente alloffesa. Cristo ha preso la punizione su di sé e ci redime perché salda il debito dovuto alla giustizia divina. Alcuni Padri si spingono così avanti da dire che Cristo pagò il debito al demonio, che aveva preso possesso dellumanità.
2. La teoria teologica della sostituzione o della soddisfazione (Tertulliano [c.160-220], con riferimento al diritto romano; S. Anselmo di Canterbury [1033-1109], con riferimento al diritto germanico): il peccato è una mancanza nei confronti di Dio. Poiché Dio è infinito, tale mancanza esige una riparazione infinita. Luomo finito non è in grado di compiere questo; così Dio, nel suo amore, fornisce un mediatore sostituendo il proprio Figlio agli uomini. In questo modo il Figlio può dare soddisfazione alla giustizia divina.
3. Nel Medioevo grandi teologi, soprattutto Tommaso dAquino (1225-1274), presenteranno il progetto damore racchiuso nellopera di redenzione. Dio avrebbe potuto perdonarci i peccati direttamente, ma perdonare così facilmente avrebbe significato che egli attribuiva poco valore alluomo da Lui creato a sua immagine e custode (khalifa) sulla terra. Dio volle far partecipe luomo della sua salvezza e del suo perdono, prima di tutto in Cristo, che è vero uomo, e poi – per mezzo di Lui e in Lui – in ciascun uomo. Innalzato in modo sovrannaturale alla vita di Cristo per pura grazia, ogni uomo può cooperare al compimento della sua redenzione vivendo e morendo con docile sottomissione a Dio sullesempio dellobbedienza di Cristo. Una tale modello di vita sarà caratterizzato dalla fede, dalla conversione e dallobbedienza alla voce della coscienza.
Di queste teologie, dovremmo recepire lo sforzo di rendere ragione del carattere gravoso del processo di redenzione (teoria della punizione); il fatto che Cristo ha preso su di sé unumanità peccatrice e ne ha accettato le conseguenze (sostituzione); la partecipazione delluomo alla sua redenzione (meriti); la donazione volontaria della vita di Cristo (sacrificio). In ogni caso, possiamo fare a meno del quadro giuridico di queste teorie ma non dobbiamo separare la morte in croce di Gesù dalla sua vita e resurrezione.
IV. I Cristiani rispondono
Il peccato originale non è un peccato o una colpa personale, che abbiamo ereditato da Adamo. Il peccato originale significa la generale situazione di manchevolezza che domina nel mondo a causa del peccato e a cui ogni uomo sottostà fin dalla nascita. Il peccato stesso è un atto personale e ciascuno è responsabile per se stesso. Contemporaneamente non possiamo ignorare la propensione al male e gli influssi malvagi che ci possono sedurre al male. Il peccato ha anche effetti sociali, che favoriscono la forza del male nel mondo.
La morte in croce di Gesù è un fatto storico che non si può negare con buon fondamento. Io penso, tuttavia, di poter capire i motivi che muovono il Corano a negarla: lo fa per rendere chiara la benevola provvidenza di Dio verso coloro che gli appartengono. Perciò è importante far rilevare che, secondo la fede cristiana, Dio non ha abbandonato Gesù sulla croce, ma lo ha risuscitato dai morti ed ha trasformato la sua morte in gloria.
Inoltre, non è che Dio abbia consegnato Gesù alla morte come se si trattasse di una drammatica messa in scena di un copione già scritto, in cui tutti coloro che sono coinvolti recitano semplicemente la loro parte come fossero burattini. Gesù fu condannato a morte dagli uomini a causa dellatteggiamento mostrato in vita verso Dio e verso la Legge. Egli fu la vittima delle forze del male: odio, ingiustizia, invidia, egoismo ecc.; forze che ancora oggi caratterizzano il mondo.
Il Concilio Vaticano II (1962-1965) ha dichiarato con vigore che, in ultima analisi, responsabile della morte di Gesù fu il peccato di tutti gli uomini. Il Concilio si rifiuta di considerare responsabili del rifiuto e della morte di Gesù i discendenti degli Ebrei contemporanei di Gesù o addirittura lintero popolo ebraico nel passato e nel presente.(8)
Redenzione non è la soddisfazione di un Dio vendicativo che esige a riparazione del suo onore ferito il sacrificio di un giusto che espii al posto di coloro che hanno peccato. Redenzione è la rivelazione dellamore misericordioso di Dio che perdona e si manifesta nella vita, morte e Resurrezione di Gesù che, donando la sua vita per coloro che Egli ama (cf. la parola araba al-fida tradotta in oriente con redenzione), dona agli uomini la comunione con Dio e rende loro possibile vivere lamore.
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- (7) Geist und Leben, 46 (1973) 81-85. Questa citazione: p. 82.
- (8) Concilio Vaticano II, Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane: Nostra Aetate, 4.